Il pianoforte è un’orchestra e noi ne siamo i direttori. Pillola n. 4 – Metodi di studio per il lavoro sul ritmo e sul tempo


1. Come strumentisti in un’orchestra: timbro e suono.

Se suonate il pianoforte anche voi avrete sentito dire che questo magnifico strumento è come un’orchestra sotto le nostre dita.

Quando nelle riduzioni per pf troviamo scritto Oboe oppure Tromba o Violino all’inizio di una frase, l’indicazione non solo ci serve per capire se dobbiamo suonare quel passaggio come fossimo una Tromba, un Oboe o un Violino ma anche per cercare di “imitare” il timbro di quel particolare strumento.

Come abbiamo più volte ripetuto (a cominciare da questo primo articolo della serie ) il segreto è nella mente: più abbiamo chiaro in mente il suono che vogliamo creare tanto più riusciremo ad avvicinarci a esso.

Una volta il mio primo maestro in conservatorio, il musicista-pianista Alexandre Hintchef, mi chiese di cercare un suono che fosse magico per un passaggio di un sonata – “si deve avvicinare al sogno” – mi disse. Potete immaginare la mia gioia e la mia sorpresa quando durante la lezione successiva, sorridendomi, mi disse che era contento che l’avessi preso in parola. Del resto lui mi aveva fatto sentire il suono a cui faceva riferimento e a quel punto era ben chiaro anche a me; il suono ce l’avevo nella testa e nelle orecchie, si trattava solo di far arrivare il messaggio alle mani e tramite queste far cantare il pianoforte con quella particolare voce.

Lo so, stavamo parlando di orchestra e non solo di un suono da pianoforte che risponda a determinate caratteristiche, ma vi assicuro che il principio è uguale. Si deve aver chiaro in mente quello che si vuole raggiungere, si deve poter visualizzare la meta.

Il problema ovviamente riguarda molto anche la mano in senso tecnico (ma non dimentichiamo che parliamo sempre di “téchne” cioè di arte). Ricordo che una volta, ad una lezione di musica da camera, il maestro Francesco Libetta, anche lui grande musicista e pianista, parlò di orchestrazione della mano. E la cosa ha molto senso se pensate che ogni dito ha il suo ruolo, sia che si tratti di fare il solista in mezzo all’accompagnamento sia che si tratti di essere una voce nell’insieme dell’orchestra. Ma ne riparleremo.

Il discorso è molto delicato, bellissimo ma semplice e difficile da trattare allo stesso tempo. Non servirà pensare che per ottenere quel suono il dito dovrà avere quella particolare inclinazione, il polso quell’altra…no. Anche se quello sarà un bagaglio che riuscirete a formarvi (il mio attuale maestro per esempio, mi sa dire esattamente come dovrei tenere la mano per ottenere un suono X) se avete un’idea precisa di quello che volete la vostra mano, guidata dal vostro orecchio, vi indicherà la strada.

Abbiamo quindi preso coscienza del fatto che abbiamo davvero un’orchestra sotto le mani, e noi ne siamo sia i direttori che gli strumentisti.

2. Fare i direttori dell’orchestra per curare i problemi di tempo e ritmo.

E cosa fanno i direttori? Beh, il direttore è “il motore di tutto”. L’orchestra intera è uno strumento che suona al ritmo della sua bacchetta, che suona piano o forte secondo la sua volontà, che accelera o rallenta seguendo le sue indicazioni. Cosa pensereste se un direttore facesse suonare la vostra sinfonia preferita ad una velocità molto ma molto inferiore rispetto alla velocità “giusta”? Molto probabilmente la cosa non sarebbe di vostro gradimento. E quindi perché un pianista dovrebbe suonare qualcosa ad un tempo non adatto o, ancor peggio, con estrema irregolarità nel tempo? Eppure è una cosa che accade molto spesso.

Ecco quindi cosa consiglia Neuhaus per i problemi legati alla gestione del tempo:

Pillola n.4

«Agli studenti  che studiano una composizione e debbono impossessarsi del suo aspetto più importante, vale a dire la struttura ritmica, cioè l’organizzazione del processo temporale, consiglio fermamente di comportarsi come si comporta un direttore con la partitura: mettere lo spartito sul leggio e dirigere la composizione dall’inizio alla fine, come se suonasse qualcun altro, un pianista immaginario, e come se colui che dirige gli imponesse la propria volontà, cioè, prima di tutto i propri tempi, e in più, naturalmente tutti i dettagli dell’esecuzione. »

L’arte del pianoforte, pag. 85, 86

Secondo il nostro mastro quest’operazione facilita il processo di apprendimento e dovrebbe impedire di suonare “quello che viene” invece di quello che si vuole o di quello che vuole l’autore.

Se siamo i direttori di un pianista immaginario dobbiamo pretendere che questo non si lasci guidare dalle difficoltà tecniche e dalla scarsa comprensione di quello che sta suonando.

In sostanza Neuhaus consiglia di «separare l’organizzazione del tempo dal processo di studio dell’opera, di isolarla per poter giungere più facilmente e certamente ad una totale concordanza con se stessi e con l’autore per quanto riguarda il ritmo, il tempo e tutte le loro variazioni.»

Quando sediamo davanti al pianoforte quindi ricordiamolo sempre, siamo pianisti e direttori d’orchestra, dobbiamo essere musicisti a tutto tondo.